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“Io penalista da 10 anni. La pensione? Me la pagano i miei”

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di Isidoro Trovato

Trecentocinquanta euro in due anni. È questo il «bottino» portato a casa durante il praticantato prima di diventare avvocato. Oggi Rosanna Carpentieri ha 36 anni, un bimbo di tre mesi ed esercita da penalista a Salerno ma la vita professionale non ha svoltato.

«Dopo anni di precariato e instabilità – racconta – il vero salto l’ho effettuato solo quando i miei genitori, impiegati pensionati, mi hanno messo a disposizione un appartamento che avevano acquistato con i loro risparmi. Invece di affittarlo, lo hanno dato a me che l’ho trasformato nel mio studio affittando due stanze a un civilista e a un commercialista. Oggi dico che senza quei due affitti non arriverei a fine mese».

I dati nazionali parlano di redditi medi vicini ai 20 mila euro annuali per i giovani avvocati ma la realtà è persino peggiore.

«La prima scommessa è quella di raccattare qualcuno che ti paghi – sorride amara Rosanna -. Quelli della mia generazione non si vergognano ad accettare un anticipo di 50 euro pur di mettere qualcosa in tasca. Infatti non si capisce perché a noi giovani avvocati non promettono il saldo della parcella ma, al massimo, un regalino. Poi alla fine, chissà quando, sei fortunato se ti pagano un terzo di quello che hai chiesto».

Intanto le spese galoppano e con l’entrata in vigore della riforma forense diventa obbligatoria l’assicurazione professionale e l’iscrizione alla cassa di previdenza di categoria.

«L’assicurazione l’ho sempre pagata perché effettivamente, specie per me che faccio penale, è molto utile. Ma la cassa forense io non l’ho mai pagata. Pago una previdenza integrativa solo perché sono fortunata e me la sovvenzionano i miei genitori. Adesso che l’iscrizione alla cassa di categoria diventa obbligatoria non so proprio come farò. Non ci dormo la notte. È una ferita che accomuna tantissimi miei coetanei. Abbiamo sudato e sgobbato, siamo innamorati della nostra professione. Non abbiamo nulla da rimproverarci».

No, loro no .


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